E' una canzone di propaganda scritta nel 1911, all'alba
dell'impresa libica con la quale Giolitti intendeva dar sfogo
alle tensioni interne del Paese.
Gaetano Salvemini definì la Libia "uno scatolone di
sabbia" e tale infatti appariva a chiunque prima che negli
anni '60 vi fosse scoperto il petrolio. Eppure vedi come qui lo
scatolone di sabbia venga dipinto come un luogo, un Eden di delizie,
di fertilità, di ricchezza e gloria.
Gea Della Garisenda, avvenente stella dell'operetta, cantò
queste strofe, al Teatro Belbo di Torino nel 1911, coperta solo
da un drappo tricolore. A far esplodere l'entusiasmo del pubblico
tanto bastava. I soldati partiranno per il fronte libico accompagnati
dal sorriso di una bella donna, fraintendendo volentieri tra la
generosità di forme della cantante seminuda e la supposta
generosità della Nazione che li manda ad una "passeggiata"
militare sotto il sole d'Africa.
La canzone in questione inaugura il delirio della canzone patriottico-colonialista,
un misto di banalità, retorica e rozzezza, che accompagnerà
puntualmente le avventure italiane in terra d'Africa.
La canzone A Tripoli, che oggi suona vagamente sinistra al ricordo
del sangue che costò la tardiva vocazione coloniale italiana,
all'epoca fu un successo clamoroso: la pesantezza bandistica della
sua musica parve solennità verdiana, la retorica dei suoi
versi grande poesia.
La canzone tornò poi in voga nel ventennio fascista.
Sai dove s'annida più florido il suol
sai dove sorrida più magico il sol
sul mar che ci lega con l'Africa là
la stella d'Italia ci addita un tesor, ci addita un tesor.
A Tripoli! A Tripoli!
Tripoli bel suol d'amore
ti giunga dolce questa mia canzon
sventoli il tricolore
sulle tue torri al rombo del cannon
naviga o corazzata
benigno è il vento e dolce la stagion.
Tripoli terra incantata
sarai italiana al rombo del cannon.
A te marinaio sia l'onda sentier
sia guida fortuna per te bersaglier.
Spera e va soldato, vittoria è colà
poichè con l'Italia.....